Joyce: Celati dimentica Terrinoni?

Riprendiamo da Satisfiction l’intervento dello scrittore e giornalista Marco Ciriello, che con una punta di polemica commenta l’intervista di Antonio Gnoli a Gianni Celati apparsa su Repubblica del 3/3/13. Né Celati né Gnoli menzionano la recente traduzione dell’Ulisse di Enrico Terrinoni, pubblicata nel 2012 da Newton Compton. Un’occasione mancata…

 

Lost in translation. Quando Repubblica e Celati dimenticano Newton Compton

di Marco Ciriello

Gianni Celati intervistato da Antonio Gnoli (la Repubblica) per la sua traduzione dell’Ulisse di Joyce (Einaudi) parla a lungo del lavoro che gli ha preso 7 anni, di come da una vita insegua Joyce che era addirittura il soprannome affibbiatogli da Carlo Izzo, suo professore all’università, e supervisore della prima traduzione in italiano. Discutono della traduzione storica: quella di Giulio De Angelis (Mondadori, 1960) e poi vanno via per le strade del mondo. Scopriamo che Celati come Adolf Loos si manteneva lavando piatti, e traducendo per esercizio Swift. E verso la fine dell’intervista Celati retoricamente si domanda come faceva a sopportarlo Italo Calvino. Ecco, mi sono posto la stessa domanda, non per i suoi libri, non per la sua scrittura e nemmeno per la sua traduzione, ma perché l’anno scorso per Newton Compton Enrico Terrinoni con Carlo Bigazzi hanno fatto un discreto lavoro, ritraducendo l’Ulisse di Joyce (può non piacere ma è un dato, c’è, esiste un’altra traduzione, tra l’altro in versione popolare anche nel prezzo) lavorando nel rispetto «del ritmo, dei suoni e dell’allusività semantica dell’originale», come dichiarava Enrico Terrinoni. Ora, quanto è poco elegante non considerarli, sia da parte dell’intervistatore Gnoli che da parte di Celati? Costava tanto dire al lettore ignaro che c’era anche una seconda traduzione? Venuta prima di quella celatiana (che ha avuto anche delle anticipazioni estive con “Il Sole 24 ore”), e che sarà pure «un risultato strepitoso»  come scrive Gnoli – mentre Celati guarda la neve che cade su Torino – ma perché non dire e lasciare a chi legge la possibilità di scelta? Anche perché nell’intervista si ricostruisce la storia libro, con tutte le difficoltà per rendere al meglio il labirinto joyciano: una ragione in più per ricordare la traduzione di minoranza. Non è che ce ne siano altre ventinove, ma solo tre in tutto, per un testo che ne meriterebbe molte di più. Un eventuale lettore, se ha già letto De Angelis, potrebbe leggere le due nuove traduzioni in un bel gioco di scontri che non sarebbe dispiaciuto a Joyce, che quando la “Shakespeare & Co” pubblicò il libro, il 2 febbraio 1922, dichiarò: “Ci ho messo dentro tanti di quegli enigmi che fra cent’anni gli studiosi staranno ancora cercando di risolverli» o tradurli, ignorandosi, chissà”.