Ilaria Piperno, traduttrice di Lost in Translation e Tagliare le nuvole col naso (entrambi per Marcos y Marcos), ci ha mandato un breve resoconto dell’incontro a cui ha partecipato giovedì 9 marzo alla libreria Assaggi di Roma. A discutere con lei di traduzione e linguaggio, Roberto Navigli, linguista computazionale e creatore della rete semantica multilingue Babelnet. Lo trovate qui di seguito.
Umano vs automatico?
di Ilaria Piperno
La linguistica computazionale può aiutare la traduzione? Il traduttore “umano” è indispensabile alla comprensione di un testo in un’altra lingua? Queste e altre domande sono state al centro dell’incontro che si è tenuto lo scorso 9 marzo alla libreria Assaggi di Roma.
Roberto Navigli, professore associato di Informatica a La Sapienza di Roma specializzato in linguistica computazionale, ha realizzato uno dei progetti più interessanti e innovativi di motore di ricerca semantico, Babelnet. Nella sua esposizione ha mostrato non solo come funziona Babelnet, ma soprattutto come è stato programmato e in cosa differisce da Google Translate a livello di “concezione” e “programmazione” della macchina. Babelnet non è un traduttore automatico, bensì un dizionario multilingue e contemporaneamente una mega-enciclopedia che raccoglie molto del sapere presente sul web. Si tratta di decine di migliaia di voci enciclopediche di cui Wikipedia costituisce solo una parte, consultabili gratuitamente sul web. L’interazione tra la conoscenza enciclopedica e le centinaia di lingue già incluse, da cui e verso cui si può tradurre simultaneamente, “potrebbe” limitare gli errori classici dei traduttori automatici, perché dovrebbe fornire elementi in più anche relativi al contesto.
Io, invece, ho sottolineato le peculiarità della traduzione letteraria, legata a testi ad alto tasso di ambiguità semantica. Al centro c’è ovviamente una *comprensione* a cui segue un’interpretazione, la questione della traduzione come atto creativo, ri-scrittura, ri-creazione e la possibilità di diverse traduzioni. Ho poi spiegato il lavoro della Sanders per Lost in translation (legato all’intraducibilità di singoli vocaboli e alla questione dei modi di dire), e l’approccio di un traduttore umano a queste espressioni particolari.
Ho poi mostrato un confronto fra la mia traduzione di espressioni idiomatiche nel libro della Sanders e il risultato ottenuto con Translate, evidenziando gli errori, ma in particolare il fatto che ciò che per un lettore “fa” un proverbio è, ancor prima del significato, il ritmo, insieme ad alcune specificità linguistiche peculiari che il traduttore automatico non coglie.
Se molte traduzioni di Google sono corrette a livello del significato e del significante, il lavoro umano non è assolutamente sostituibile per ciò che riguarda il resto. Alla fine, come caso di intraducibilità, ho scherzato citando l’Amico Supplì del – per me – mitico Zerocalcare: come rendere in un’altra lingua il supplì? Il traduttore automatico non lo traduce affatto…
Spero di essere stata chiara e grazie ancora a chi ha partecipato all’incontro, mi auguro che sia stato stimolante!