Olga Tokarczuk: tradurre per salvarsi

Segnaliamo su L’Espresso di domenica 13 ottobre la traduzione parziale di un intervento della Premio Nobel 2018 Olga Tokarczuk, per buona parte dedicato alla figura del traduttore.


Non c’è da stupirsi che da secoli Hermes sia il dio, il patrono e il protettore dei traduttori. Basso di statura, agile, veloce, scaltro, arguto e in fuga per le vie del mondo; per dirla con le parole di Plutarco, «il più piccolo e il più furbo degli dei». Lunghi i capelli, il copricapo alato e in mano il caduceo, il sesso non del tutto definito, egli è ovunque. È il dio della sintesi, dell’associazione di fatti distanti, dell’ingegno e dell’opportunismo, il dio dotato di senso dell’umorismo e incline alla menzogna e all’imbroglio. È lui che ci accompagna nei viaggi ed è sua la voce che ci parla dalle guide turistiche e dai dizionari. Ci conduce per luoghi impervi, insegna a leggere le mappe, fa oltrepassare i confini. Ma soprattutto appare là dove si verifica un qualsiasi atto di comunicazione. Quando apriamo la bocca per trasmettere qualcosa a un’altra persona – Hermes è lì. Quando leggiamo il giornale, navighiamo in Internet, mandiamo sms – lui è lì. Se mai oggi sorgesse il suo tempio, ospiterebbe stampanti, telefoni, fax e fotocopiatrici.
Uno dei nomi a lui attribuiti è Hermeneutes: Interprete e Traduttore. Sacerdoti e sacerdotesse del suo tempio sono i traduttori, il cui lavoro tocca l’essenza di questa divinità: mette in comunione le persone attraverso le lingue, e al di là di esse, e fa transitare l’esperienza umana da una cultura all’altra.