Claudia Mulas, che ringraziamo, ci ha inviato un’intervista a Gianni Turchetta a proposito della sua traduzione di “Lo strappacuore” di Boris Vian (Marcos y Marcos, 2009). Gianni Turchetta (Salerno, 1958) insegna alla Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università statale di Milano. Ha curato l’edizione dei “Canti Orfici” di Dino Campana (Marcos y Marcos, 1989); ha pubblicato la monografia “Gabriele d’Annunzio” (Morano, 1990) e il saggio “Il punto di vista” (Laterza, 1999). Ha inoltre curato edizioni di d’Annunzio, Svevo, Pirandello, Consolo.
Intervista a Gianni Turchetta
di Claudia Mulas (con nota finale di Claudia Mulas)
C. M.: Professor Turchetta, come ha accolto la proposta della casa editrice Marcos y Marcos di presentare una nuova versione italiana di L’arrache-cœur di Boris Vian?
G. TURCHETTA: Ho ritenuto una buona idea quella di ripresentare una nuova traduzione di L’arrache-cœur, giacché ritengo che le traduzioni invecchino e abbiano bisogno di essere rinnovate.
C. M.: Immagino fosse a conoscenza della precedente versione di traduzione. Qual è stato il suo approccio?
G. TURCHETTA: In linea di massima, posso dirle di aver proceduto nella seguente maniera. Ho dapprima letto le due traduzioni precedenti – sia di L’écume des jours che di L’arrache-cœur, che ho trovato del tutto insoddisfacenti (ndr: la versione di Turchetta di L’arrache-cœur va considerata la prima traduzione integrale, poiché quella di Augusto Donaudy, edita da Rizzoli nel 1965 con il titolo Sterpacuore è interessata da censura e pertanto priva di alcuni dialoghi ed episodi). Ho pertanto deciso di procedere in totale autonomia, senza consultare in alcun modo le altre soluzioni, in quanto mi è parso necessario affrontare ex novo i problemi considerevoli posti dal testo di Vian. Posso dire che i riscontri dei lettori, dilazionati nel corso degli anni, ma tutto sommato abbastanza numerosi, sono stati sempre positivi tanto da non essermi mai pentito di avere scelto una soluzione, se vogliamo, presuntuosa.
C. M.: Prendendo spunto dalle sue affermazioni, a proposito di Vian, qual è stato invece il suo rapporto con il romanzo originale? Quanto è stato problematico?
G. TURCHETTA: All’epoca dedicai immense energie e risorse di tempo al lavoro di traduzione, cercando, per quanto possibile, di non perdere una virgola dell’originale. Impiegai l’aiuto di mio fratello, residente in quel periodo a Strasburgo, e quindi più a contatto di quanto potessi esserlo io con la lingua francese parlata, e la consultazione di enciclopedie di un certo spessore, soprattutto per il linguaggio tecnico. Malgrado questo, ho dovuto comunque far fronte a importanti difficoltà. Ritengo tuttora che, le complessità presentate dallo stile di Vian, per esempio e soprattutto i neologismi, siano particolari e insormontabili2.
Fin dal principio, la mia preoccupazione maggiore è stata quella di essere coerente e fedele a Vian; coerenza e fedeltà che ho cercato di dimostrare attraverso una traduzione il più possibile letterale. Sempre a questo scopo, cercai, dedicando sempre la stessa grande attenzione, di riprodurre nella nostra lingua l’atmosfera stilistica trasmessa dal testo originale ai suoi lettori di lingua francese, sebbene non la ritenessi ottenibile in italiano. Il risultato che ho rischiato di avere era quello di volgere il registro stilistico verso il basso, di ottenere un effetto esageratamente colorito, soprattutto negli episodi dallo stile comico. Ho pertanto lavorato per cercare di salvaguardare questo delicato equilibrio.
C. M. : Leggendo la sua versione, ciò che salta all’occhio è il ricorso alle note a piè di pagina. Quali sono le motivazioni che hanno fatto nascere questa esigenza?
G. TURCHETTA: Proprio perché ho ritenuto, alla fine, impossibile la trasposizione dell’atmosfera, ho fatto ricorso alle note a piè di pagina, che ho considerato necessarie per far capire il modo in cui ho operato, e per far “percepire” il testo originale ai lettori, la sua ritmica, che si perde trasferendolo in lingua italiana. Quello delle note sarebbe dovuto essere, secondo le mie intenzioni, un corpus più robusto, almeno cinque volte tanto quello pubblicato. È stato invece limitato dall’editore. Il messaggio che volevo così trasmettere era un avviso, come dire: «Attenti! Si traduce così, ma è molto di più nell’originale». Ho cercato d’inoltrare la lettera, lo spirito e l’atmosfera senza esagerare, senza svilire l’intento di Vian.
C. M.: Potendo fare un bilancio sul suo lavoro può dire che …
G. TURCHETTA: Quando tradussi L’arrache-cœur avevo già maturato una certa esperienza, grazie alla precedente traduzione di L’écume des jours. A mio avviso, ho così prodotto dei risultati migliori, più equilibrati.
2 Ritengo utile un breve approfondimento sullo stile di Vian, tale da offrire uno spaccato del complesso mondo letterario proprio de L’arrache–cœur. In dettaglio, L’arrache-cœur presenta un copioso inventario di neologismi, giochi di parole, arcaismi, cambi fonetici, forme dialettali, citazioni, falsa logica, e numerosi elementi dell’assurdo e dell’ironia. In particolare: i neologismi riguardano la scansione temporale (janvril, reso da Turchetta con Gemprile); i fiori e lepiante (brouillouse, reso da Turchetta con Confusacche); gli animali (maliette, visti da Turchetta come Gabbiòddole); i verbi (psychiatrer inteso da Turchetta come Psichiatrare); i sostantivi (trumeaux, sulla falsa riga del termine jumeaux, e in favore dei tre gemelli protagonisti che Turchetta rende come Tremelli); gli aggettivi (pluxe che in Turchetta diventa Piusso). I giochi di parola sono propri della lingua francese e per questo intraducibili (Et raccourci se trouvait ce chemin; pieds connus, pas dejà faits – pas de marche et non de négation. Riconoscendo l’intraducibilità della frase, Turchetta ne riprende il parallelismo giocando con il termine palmi: E quella strada gli risultava più corta; tutta già nota palmo a palmo – palmi di strada, mica delle mani – e chiarisce l’obbligo della sua sostituzione con una nota a piè di pagina in cui spiega la facilità con cui Vian abbia potuto giocare con il termine pas dal duplice significato di passi o passo, ma anche avverbio di negazione, che gli consente di creare una parentesi che suona letteralmente come “passi di marcia, non di negazione”). L’uso di termini desueti (se leurrer, voce verbale dalle tante sfumature e che Turchetta rende con Sbagliarsi). Le invenzioni fonetiche sono date dall’uso della dieresi e dell’accento circonflesso (Chärles, viûchûin che Turchetta rende rispettivamente con Carlo e Barbagianni). Le formule dialettali (salopiots che essendo riferite ai bambini protagonisti, Turchetta rende di volta in volta con Tipini, Porcellini, Cosi). Le citazioni (Cogitant. Donc il était. Mais que lui che a mio avviso Turchetta rende in maniera troppo letterale: Meditabondo. Allora lui era. Ma che lui, rispetto alla versione più fluente di Donaudy: Cogitando. Dunque era. Ma era lui). La falsa logica che caratterizza anche interi capitoli (Dans la pièce voisine, on entendit tomber un buvard che suona così in Turchetta: Nella stanza accanto si sentì cadere un foglio di carta assorbente). L’ironia (Il entendait sa femme gémir à côté, mais ne pouvait aller lui tenir les mains parce qu’elle le menaçait de son revolver che Turchetta rende con: Sentiva sua moglie gemere nella stanza a fianco, ma non poteva andare a tenerle la mano perché lei lo minacciava con la pistola).