Intervento di Aurelia Martelli
Pare non ci sia modo di far capire a chi scrive sui giornali che i libri di autori stranieri che circolano in Italia sono il frutto di un faticoso, delicatissimo e spesso malpagato lavoro svolto da professionisti in carne e ossa e dotati di nome e cognome, che del resto non è difficile rintracciare: in genere è riportato nel frontespizio o nel colophon.
Sorvoliamo sulle recensioni che non citano il nome del traduttore, ormai quella è storia vecchia. Che dire di formulazioni come la seguente, peraltro sempre più diffuse nelle pagine culturali?
“C’è un racconto di John Cheever tradotto da Feltrinelli in cui una grande radio, in un modo un po’ fantascientifico, collega i protagonisti tra loro. E c’è una terribile novella di Simenon, tradotta da Adelphi, in cui due coniugi vivono insieme solo per odiarsi […]. Il cerchio del robot romanzo dello scrittore Philip Dick, adesso pubblicato in italiano da Fanucci…” (Gianni Riotta, “Dick senza androidi corteggia la spogliarellista“, La Stampa – Tuttolibri, 23 febbraio 2013)
Semplice dimenticanza? Pigrizia? Oppure il giornale (non il giornalista: chi la fa l’aspetti … ) pensa che il merito di aver dato voce a Cheever, Simenon e Dick sia da attribuire in esclusiva alle Case Editrici, entità magicamente in grado di generare il testo delle versioni italiane?
Per la cronaca, i traduttori non citati sono Marco Papi (Cheever), Marco Bevilacqua (Simenon) e Fabio Zucchella (Dick).