Garzanti ha da poco pubblicato una raccolta di saggi a cura di Santiago Zabala, Una filosofia debole, Saggi in onore di Gianni Vattimo, in cui pensatori come Umberto Eco, Richard Rorty, Charles Taylor e molti altri hanno voluto dibattere i temi affrontati dal filosofo torinese. Riportiamo qui l’introduzione di Lucio Saviani, che ha curato la traduzione dall’inglese dell’opera, così come è apparsa su Nazione Indiana.
L’Essere tradotto.
Nota del traduttore di Lucio Saviani
Questo volume contiene ventidue saggi con una introduzione del curatore ed è la mia traduzione dall’inglese del libro pubblicato nel 2007, a cura di Santiago Zabala, dalla McGill-Queen’s University Press con il titolo Weakening Philosophy. Gli autori dei saggi sono francesi, italiani, spagnoli, americani, tedeschi, ciascuno dei quali – eccetto uno – ha scritto nella propria lingua.
I testi che ho tradotto erano dunque, in alcuni casi, stati scritti in inglese, in altri casi erano, a loro volta, traduzioni in inglese – ad opera di quattro diversi traduttori – dal francese, dallo spagnolo, dall’italiano, dal tedesco. Di volta in volta, soprattutto per i termini filosofici centrali nel pensiero di Vattimo, ho avuto cura di tenere presenti le tracce e gli effetti di quel primo ‘passaggio’ di lingua.
E’ stata mia cura, inoltre, uniformare la traduzione in italiano dei termini fondamentali del pensiero di Vattimo (ma anche di Heidegger, Nietzsche, Gadamer) a partire dalle differenti occorrenze nei testi già tradotti in inglese e poi da me in italiano. Per i saggi degli autori italiani, ho comparato la versione inglese con il testo originale, rendendo in ogni caso la versione finale la più vicina possibile all’edizione americana. In particolare, il testo di Umberto Eco era originariamente in francese; ho dunque comparato la traduzione inglese con l’originario testo in francese e con il testo in italiano pubblicato nel frattempo da Eco, all’interno del suo Dall’albero al labirinto, con il titolo “Il pensiero debole vs i limiti dell’interpretazione”.
Uniformare la traduzione dei termini che maggiormente caratterizzano il pensiero di Vattimo (indebolimento, torsione, verità, convalescenza, credere, emancipazione, uomo dell’oltre), ma anche dei termini fondamentali di alcuni degli autori, come Nancy, Rorty, Savater, Taylor così come appaiono nelle loro opere pubblicate in Italia, ha inoltre reso possibile una serie di rimandi interni agli interventi nel volume, non rintracciabili nell’edizione americana – all’interno di una sezione, come nel caso dei saggi di Taylor, Welsch e Schürmann e tra le diverse sezioni del volume, come per i saggi ora citati e quello di Risser. In particolare, ciò è risultato più evidente a proposito della traduzione vattimiana del plesso Überwindung/Verwindung, anzi, della stessa scelta di Vattimo di interpretare la coppia concettuale come ‘plesso’. La traduzione che Vattimo propone di Verwindung, ossia un superamento in termini di ripresa, recupero, rimettersi-da (come da una malattia) è centrale nel saggio di Risser sull’ermeneutica come “convalescenza”, ossia quel percorso di recupero della salute in cui la malattia rimane come una resistenza all’interno dell’organismo. Intorno al discorso di Risser sembrano poter raccogliersi diversi saggi del volume, proprio grazie al loro riferirsi alla Verwindung vattimiana in chiave di avvitamento e torsione (termini che, a mio parere, rimandano anche al mancante verbo italiano che possa tradurre il per-plectěre latino – origine di “perplesso” – che denota un per-implicare, complicare, piegare, muovere e allo stesso tempo tenere in “plesso”).
La concezione di questo volume e la sua traduzione in italiano sembrano insomma poter essere un utile esempio di quanto Gadamer afferma in Verità e metodo a proposito della necessaria, essenziale, costitutiva relazione tra interpretazione e traduzione. Nella tradizione ermeneutica, come è noto, ogni attività di interpretazione è da ritenere una traduzione. Quest’ultima, secondo Gadamer, a sua volta presuppone sempre un dialogo ermeneutico; ossia, ogni traduzione giunge a compimento di una interpretazione ad opera del traduttore. Scrive Gadamer: “Come nel dialogo (…) ci si sforza di collocarsi nella posizione dell’altro, per capire il suo punto di vista, così il traduttore si sforza di trasporsi completamente nel suo autore. Ma questa trasposizione non equivale ancora, nel dialogo, alla piena comprensione, né, nella traduzione, si identifica senz’altro con la riuscita della riproduzione. (…) La condizione del traduttore e quella dell’interprete sono quindi sostanzialmente identiche”. (Verità e metodo, pp. 346-347).
Come è noto, il traduttore di Verità e metodo in italiano è stato Gianni Vattimo. Sul Vattimo traduttore – come ricorda Zabala nel suo intervento in questo volume – lo stesso Gadamer ha affermato: “Un certo gusto per i giochi – e un certo gusto per il rischio, che è peculiare di ogni giocatore – lo ha costantemente messo al riparo da ogni infelice dogmatismo: queste stesse caratteristiche lo hanno reso un eccellente traduttore”. Vattimo è stato finissimo traduttore di Gadamer e di Heidegger – come spesso viene ricordato nei saggi di questo volume – ma anche di Nietzsche, Schelling, Moore, Tatarkiewicz e curatore delle edizioni italiane di opere di Fink, Rorty, Deleuze, Derrida. Quanto Gadamer afferma sul Vattimo traduttore vale, evidentemente, per il Vattimo filosofo; così come nella filosofia ermeneutica di Vattimo è sempre all’opera l’intrinseca relazione tre interpretazione e traduzione. Basti pensare alle traduzioni vattimiane di Übermensch, Geviert, Erinnerung, Ge-ring, An-denken.
Del tema della traduzione (intralinguistica, interlinguistica e intersemiotica) ho avuto modo di parlare con Vattimo in più occasioni. Vorrei ricordare qui tre episodi, risalenti a periodi molto lontani tra loro, che mi ricordano il senso e lo spirito dell’affermazione di Gadamer sul Vattimo traduttore. Nella primavera del 1983, a Napoli, poco prima che fosse pubblicato “Il pensiero debole”, in una pausa di un seminario Gianni confessava di stare rileggendo a fondo “don Benedetto” e, parlando della traduzione, mi diceva che era sempre più interessato alla storia dell’essere come ad una traduzione, dell’essere nelle sue concrezioni, ovvero istituzioni. In un seminario di qualche anno dopo, sempre a Napoli, sul senso della Kehre heideggeriana, commentando le molteplici possibilità di traduzione in italiano del termine Verwindung (sul quale si concentrano diversi dei testi raccolti in questo volume, a partire dal saggio di James Risser), Gianni giunse a dire più volte che un tornante di montagna (Kehre), semplicemente, ad un certo punto “fervinde”. Infine, in un seminario su Rete e Società trasparente che organizzai a Roma nel 2005 all’interno del mio corso di Storia della filosofia alla “Sapienza” e per il quale ospitai Gianni Vattimo e Santiago Zabala, proposi di rileggere insieme una delle prime pagine (l’intervista a “Lotta Continua” del 1980) di Al di là del soggetto in cui appare, a mio avviso, una formidabile anticipazione di temi e riflessioni sulla Rete e sulla società della comunicazione generalizzata. In quell’intervista, rispondendo a una domanda che, a proposito del compito della filosofia, cita le immagini della mosca nella bottiglia (Wittgenstein) e del pesce nella rete (Bobbio), Vattimo dice di preferire l’immagine della rete “non però pensando gli uomini come pesci, ma per esempio come acrobati. La rete diventa trapezio, attrezzo, intrico di vie che si può percorrere; anzi, l’esistenza consiste forse proprio in questo movimento lungo le maglie della rete, intesa come reticolo di connessioni. (…) Il reticolo, la rete in cui è presa, e data a noi, la nostra esistenza, è l’insieme dei messaggi che, nel linguaggio e nelle varie ‘forme simboliche’, l’umanità ci trasmette”.
Quando ebbi finito di leggere la pagina, Vattimo si disse meravigliato perché non ricordava quel passaggio dell’intervista e che quella che io chiamavo sua intuizione era stata una sua semplice traduzione “della rete nella rete”, così come la mia lettura, secondo lui, era riuscita a mettere “lungo le maglie della stessa rete” due momenti così lontani del suo cammino di pensiero.
E’ per me motivo di grande soddisfazione aver potuto consegnare i testi raccolti in questo volume ai lettori italiani. Non avrei potuto immaginare un mio migliore contributo a questo volume in onore di Gianni Vattimo. Sono felice che proprio loro, Gianni Vattimo e Santiago Zabala, curatore del volume nell’edizione americana, abbiano chiesto che fossi io a curarne la traduzione italiana.