Riceviamo e pubblichiamo la Quinta di copertina di una delle finaliste del Premio Babel-Laboratorio Formentini 2020, assegnato a un giovane traduttore letterario di lingua italiana meritevole di attenzione.
di Giulia Zavagna
autrice di Rodrigo Fresán, La parte inventata, Bari, LiberAria, 2019 (da La parte inventada, Barcelona, Literatura Random House, 2014)
Sulla spiaggia di queste parentesi
La parte inventata dell’argentino Rodrigo Fresán è un romanzo che potremmo definire massimalista – si è parlato di romanzo-mondo, di narrazione fluviale – che assorbe la lezione del postmodernismo e in qualche modo va oltre, con uno sguardo affilato e pirotecnico sulla contemporaneità. Ma è soprattutto un romanzo sulla scrittura e sulla lettura. Se ogni traduzione richiede di entrare per qualche tempo nella testa dell’autore, si può dire che questo libro avanzi la stessa richiesta al quadrato: entrare nella mente di uno scrittore che indaga i meccanismi in divenire della scrittura stessa.
L’ho affrontato cercando di scomporlo il più possibile: le sette sezioni in cui si articola – e che si dice l’autore abbia scritto contemporaneamente – sono quasi altrettanti romanzi brevi, leggibili singolarmente e molto diversi tra loro. Di volta in volta cambiano il registro e il tono, cambia il punto di vista con l’alternarsi dei personaggi, cambiano lo spazio e il tempo della narrazione. Ho lavorato quindi ogni sezione come fosse un libro a sé, rivedendo le singole parti prima della rilettura completa: mi è parso il modo migliore per affrontare il libro anche in termini di mole, più di seicento pagine nell’edizione originale.
Mi sono persa molte volte in un oceano di parole senza fine, retto da una sintassi deflagrante, che sembra forzare i limiti della lingua inanellando incisi, subordinate e capoversi lunghissimi. Basti pensare all’incipit, che unisce la punteggiatura al campo semantico della pesca:
Come cominciare.
O meglio: Come cominciare?
(Introdurre il punto interrogativo che, nulla è casuale, ha la forma di un gancio, o di un amo da pesca. Una curva affilata e pungente che infilza sia chi legge sia chi viene letto. Tirandoli a sé, trascinandoli dal chiaro e calmo fondo alla torbida e inquieta superficie. O facendoli volare in aria per poi cadere proprio sulla spiaggia di queste parentesi. […])
Cómo empezar.
O mejor todavía: ¿Cómo empezar?
(Añadir los signos de interrogación que, nada es casual, tienen la forma de anzuelos, o de garfios. Curvas afiladas y punzantes ensartando tanto a quienes leen como a quienes son leídos. Tirando de ellos, trayéndolos desde el claro y calmo fondo hasta la turbia e inquieta superficie. O haciéndolos volar por los aires hasta caer justo dentro de la playa de estos paréntesis. […])
Le pagine fitte di giochi di parole, poi, hanno richiesto una parziale riscrittura. Brevissimo esempio, il passaggio in cui Penélope ragiona sulle discutibili doti affabulatorie del marito, mentre lui giace in un letto d’ospedale: sus novelas comatosas y con tantas comas. L’originale gioca sul doppio significato di coma che in spagnolo, oltre a indicare uno stato vegetativo, vuol dire «virgola». In italiano ho preferito puntare sull’assonanza per mantenere lo spunto ironico («uno dei suoi romanzi pieni di incisi e così poco incisivi»), recuperando altrove il rimando allo stato comatoso del personaggio. Da questo punto di vista, è stato un costante lavoro di concessione e riparazione, nel tentativo di restituire la verve di un testo intelligentissimo che strappa al lettore più di una risata.
Il tutto è condito da un citazionismo maniacale, con riferimenti culturali nascosti quasi in ogni frase (dai Pink Floyd a Battiato; da Burroughs a Emily Brontë; da 2001. Odissea nello spazio a Harry Potter) che hanno imposto una buona dose di ricerche e letture parallele. Il titolo stesso, uno dei leitmotiv della narrazione, è tratto da una lettera di Gerald Murphy a F.S. Fitzgerald.
Dopo numerosi rischi di andare alla deriva, credo di aver ritrovato la rotta proprio affidandomi alla prosa funambolica dell’autore, quando mi sono accorta che tra le pagine (tutte le sue pagine, in un continuo gioco di autocitazione) c’era esattamente quello di cui avevo bisogno: poter lavorare su una scrittura così fine e consapevole, oltre che una fortuna e un privilegio, è garanzia di avere una guida che ci accompagnerà durante il viaggio della traduzione, anche se lungo un anno e più, come questo.