Alla Casa delle Traduzioni giovedì 26 marzo ore 17,30-19
Raul Schenardi e Francesca Lazzarato
Roberto Arlt, quello “strano animale idiomatico”
«Tutti gli scrittori che amiamo sembrano scrivere in una lingua straniera», parole di Proust che César Aira commenta così: «Credo che il senso della frase sia che, in realtà, ogni scrittore inventa una lingua straniera, che è il suo stile». Ecco dunque un buon motivo per amare Roberto Arlt, che in effetti scriveva in una lingua straniera, quella imparata in casa da bambino, dove né l’odiato padre prussiano né l’ipersensibile madre di origini italiane parlavano con scioltezza lo spagnolo. Una lingua che era anche quella dei suoi compagni di disavventure – raccontate dal protagonista del suo primo romanzo, Il giocattolo rabbioso –, fatta di prestiti lessicali dall’italiano, ma soprattutto dai vari dialetti della penisola, dato che ben pochi dei numerosissimi emigrati italiani a Buenos Aires erano scolarizzati. È un idioma ranero, un gergo da strada, come lo chiama il farmacista Ergueta neiLanciafiamme in uno dei suoi balordi sermoni: «Se vi parlo con questo gergo da strada è perché mi piace», che suona come una dichiarazione dello stesso Arlt. Questa lingua, che avrebbe preso il nome dicocoliche – da Cocolicchio, il personaggio di una farsa che si rendeva ridicolo per i suoi atteggiamenti e per il modo di vestire –, è infarcita di termini ripresi dal lunfardo (da lunfa, ladro), il gergo della malavita del Río de la Plata, poi entrati a pieno diritto nel linguaggio colloquiale. È risaputo che Arlt commetteva errori di ortografia e faceva disperare i redattori che cercavano di correggere la sua imprevedibile punteggiatura o di aggiustare la sua sintassi spericolata, e si accanivano a mettere fra virgolette i termini in lunfardo per marcarne la “stranezza”. Tuttavia, la leggenda della sua presunta mancanza di cultura – a volte vezzosamente alimentata da lui stesso – è stata accantonata da tempo dalla critica più accorta, e del resto viene smentita da tutta l’opera, dove abbondano i riferimenti alle sue letture: non solo Ponson du Terrail, Salgari e la letteratura picaresca, ma Cervantes, Baudelaire, Balzac, Proust, Pio Baroja, Quiroga, Poe, Nietzsche, e naturalmente il suo amato Dostoevskij, sia pure letto in discutibili traduzioni. A chi si ostina ancor oggi a criticare il linguaggio spurio di Arlt, senza voler riconoscere che si tratta di un suo marchio di originalità, oltre che di una presa di posizione “politica” per il rinnovamento della letteratura, ha risposto in modo contundente Rita Gnutzmann nel prologo a un’edizione spagnola delGiocattolo rabbioso: «Ma non è forse vero che l’eterogeneità, la mancanza di una norma linguistica unica, è l’aspetto più evidente dell’Argentina?».
Raul Schenardi, appassionato fin da ragazzo della letteratura latinoamericana, ha trasformato questa passione in un mestiere traducendo opere di narrativa e saggistica per vari editori. Fra gli altri ha tradotto il premio Nobel Miguel Ángel Asturias, i premi Cervantes Ernesto Sabato e José Emilio Pacheco, César Vallejo, Reinaldo Arenas, Pedro Juan Gutiérrez, César Aira, Santiago Gamboa. Ha collaborato per oltre dieci anni alla rivista «Pulp-libri» con recensioni, profili d’autore e interviste, e dal 2011 cura il blog Sur dell’omonima casa editrice. Di Roberto Arlt ha curato e tradotto Un viaggio terribile per Arcoiris e l’antologia di racconti Scrittore fallito per Sur. Sempre per Sur in settembre uscirà un’altra raccolta dal titolo Una domenica pomeriggio.
Francesca Lazzarato vive a Roma e ha lavorato per molti anni presso editori gran di e piccoli, in qualità di editor o di consulente; ha diretto insieme a Roberta Mazzanti la collana di narrativa Giunti Blu, collabora da quasi trent’anni alle pagine culturali e al supplemento libri del quotidiano Il Manifesto, e raccogli e i propri articoli sulla letteratura latinoamericana nel blog “La tartaruga equestre”. Ha tradotto romanzi e racconti di autori latinoamericani e spagnoli, tra i quali Silvina Ocampo (La promessa , Un’innocente crudeltà, Il cavallo alato, L’arancia meravigliosa), Felisberto Hernandez (Nessuno spegneva le lampade,Le Ortensie, Terre della memoria), Sergio Pitol (La Divina), José Pablo Feinmann (L’esercito di cenere), José Donoso (Il luogo senza confini), Tomàs Eloy Martinez (Purgatorio), Eduardo Mendoza (L’incredibile viaggio di Pomponio Flato), Eduardo Medicutti (I fidanzati bulgari), Justo Navarro (Finalmus ik, La spia) e altri ancora.