Tradurre la scienza

Il 31 agosto 2012 è morto Emanuele Vinassa de Regny. Fu negli anni sessanta il primo caporedattore delle «Scienze», durante la direzione di Felice Ippolito, e in seguito della EST, l’Enciclopedia della Scienza e della Tecnica mondadoriana; passò quindi al Saggiatore, sempre con incarichi redazionali in ambito scientifico e tecnico, e poi alla Garzanti, dove dette vita a una delle prime mitiche “garzantine”, quella dedicata appunto alla scienza e alla tecnica. Era traduttore e revisore esperto, attento e di ampie vedute, con una grande padronanza della lingua italiana. Aveva settantacinque anni. Se le parole che seguono hanno ancora un senso, vorremmo ricordarlo così: un gentiluomo, di grande cultura, di squisita cortesia, di straordinaria discrezione, di dolorosa vita.

Presentiamo qui il testo, inedito, di un suo intervento in materia di traduzione scientifica a un convegno di molti anni fa, del quale si è persa purtroppo la memoria (e se qualcuno fosse in grado di individuarne le coordinate gliene saremmo molto grati).

Tradurre la scienza

di Emanuele Vinassa de Regny

Non sono né un linguista né un traduttore professionista, ma con le traduzioni scientifiche ho sempre avuto a che fare. Entrato in editoria proprio a causa di un errore di traduzione (in un’opera prestigiosa un «numero fattoriale» era diventato un «numero di fatto»), per lungo tempo mi sono dedicato alla revisione di traduzioni e, forte di questa esperienza, più tardi ho cominciato a tradurre.

Come

Il tema mi fa venire in mente un racconto di Tabucchi, intitolato, non a caso, La traduzione. Il personaggio principale spiega (“traduce”) il contenuto di un quadro a un secondo personaggio, che solo alla fine si scopre essere cieco. Tradurre la scienza è davvero un’impresa, perché in tema di scienza la maggior parte del pubblico è più o meno cieca, e quindi il traduttore è costretto a spiegare, ma senza la fantasia e la libertà di un personaggio letterario.

Non credo ci sia molta differenza tra la traduzione letteraria e la traduzione scientifica perché in entrambi i casi i gradi di libertà sono limitati. La libertà del traduttore scientifico risulta però più ristretta dalla necessità di usare termini specifici, e quindi di conoscere la terminologia scientifica nella lingua di origine e la corretta corrispondenza con la terminologia italiana equivalente: i sinonimi non esistono, e le parafrasi portano alla vaghezza e spesso all’errore. In compenso, con il rapido evolversi di scienza e tecnica, c’è talvolta la possibilità di incontrare termini non ancora standardizzati, il che permette al traduttore (assieme al revisore, se c’è) di “inventare” i termini italiani corrispondenti.

Il problema, quindi, non è solo quello della fedeltà al testo originario, ma piuttosto la capacità di ricrearlo – in buon italiano – trovando la misura giusta per unire la necessaria creatività alla correttezza dei termini. A complicare la situazione si aggiunge però la “solitudine” del traduttore: a differenza di quanto accade in campo letterario, sono infatti assai rari i “critici scientifici”, cioè le persone in grado di recensire correttamente le traduzioni, perché sono pochi gli studiosi di scienza che si occupano di queste cose.

Qualche cattivo esempio

Mi limiterò a elencare alcuni errori che esemplificano la scarsa conoscenza dell’argomento, ma anche della terminologia e della storia della lingua.

Il primo caso si trova in Le più grandi invenzioni degli ultimi due millenni, a cura di John Brockman (Garzanti 2000). Accennando alle origini del computer si cita Charles Babbage, ma il suo analytical engine diventa il «motore analitico». In realtà si tratta della «macchina analitica», chiamata così fin dal 1842 da Luigi Menabrea, corrispondente e grande estimatore di Babbage. Quindi, scarsa conoscenza di quello di cui si sta parlando – il computer ha ben poco a che fare con il motore – e della storia della lingua – ai tempi di Babbage il termine engine (da ingenium) significava soprattutto “strumento”, “macchina”.

In un testo di grande successo, L’ultimo teorema di Fermat, di Simon Sing (Rizzoli 1997), a un certo punto appaiono le «equazioni parziali differenziali», traduzione letterale ma del tutto sbagliata di partial differential equations, che in italiano sono le «equazioni alle derivate parziali».

Un errore significativo si può trovare nell’Introduzione alla filosofia matematica, di B. Russell (Longanesi 1947; c’è anche nell’ultima edizione, 1984). Tra gli oggetti irreali, fa capolino la «quadratura del circolo» che, in matematica, non è ovviamente un oggetto irreale. Nell’originale si parla infatti di round square, cioè di «quadrato rotond» che oggetto irreale lo è davvero. Ma è un oggetto troppo strano, e forse per questo si è imposto il senso comune che considera impossibile (e quindi irreale) la quadratura del cerchio.

È possibile cambiare?

Gli errori di questo tipo, se non sono troppi, in genere non alterano il valore complessivo del libro; sono comunque un chiaro indice della scarsa cura con cui viene affrontato il problema della traduzione di testi scientifici. Come dimostrano i tre esempi riportati sopra, che coprono più di mezzo secolo, la situazione non è nuova e la responsabilità ricade innanzitutto sulle spalle dei traduttori, troppo sicuri di sé, ma anche su quelle dei revisori, che non fanno il loro mestiere.

Tradurre “bene” la scienza è difficile a causa della scarsa diffusione della cultura scientifica, anche nelle strutture editoriali. Anche se qualcosa sta forse cambiando, come dimostra il successo di molti libri scientifici “buoni” e il grande entusiasmo per gli science center, occorrerebbe coordinare gli sforzi per la diffusione della cultura scientifica, che continuano a perdersi per strada. Sarebbe bello che al coordinamento partecipassero anche gli editori, affinché i libri non fossero fatti solo “a scopo di lucro”.