A proposito di Tirature ’16

di Damiano Latella

Chi parla di traduzione in modo pragmatico è sempre il benvenuto. Proprio per questo, consigliamo la lettura del numero 2016 di Tirature, la rivista a cura di Vittorio Spinazzola edita da il Saggiatore e Fondazione Mondadori, dal titolo «Un mondo da tradurre».
Nell’introduzione, lo stesso Spinazzola ricorda il ruolo dell’editore. Si decide di tradurre un testo scegliendolo da un mercato che ne offre già numerosissimi altri, allo scopo di immetterlo in un altro mercato dalle strutture più o meno simili. Accanto al predominio della lingua inglese, che ha condotto a una standardizzazione del gusto, almeno nella narrativa di intrattenimento, deve restare ancora spazio per altre lingue e altri modi di scrivere.
Per un’analisi dei fenomeni legati all’attività del tradurre, non si può prescindere da alcuni dati di partenza. In Italia i traduttori editoriali «puri» sono pochi, a causa delle tariffe insufficienti per vivere di sola traduzione (Laura Cangemi); le opere tradotte in italiano, che rappresentano un costo aggiuntivo per l’editore, sono in lenta ma costante diminuzione negli ultimi anni (Roberta Scarabelli), con un corrispondente aumento della vendita dei diritti di traduzione di titoli italiani all’estero (Giovanni Peresson); i paesi anglosassoni sono ancora fortemente restii a tradurre, mentre il resto del mondo traduce prevalentemente dall’inglese (Andreina Speciale).
Nella letteratura mainstream che leggiamo in italiano, alcune nazioni sembrano focalizzarsi su modelli ben precisi, adatti all’esportazione sullo scaffale dei bestseller. Sara Sullam cita ad esempio il caso dei romanzi neo-Victorian per l’Inghilterra, delle storie d’amore romantiche ambientate a Parigi o dei gialli scandinavi. Non accade lo stesso per altre nazioni anche di grande tradizione letteraria (come la Russia). Sarebbe interessante ampliare il discorso esaminando l’accoglienza riservata ai libri italiani negli altri paesi europei.
Paolo Giovannetti ripercorre brevemente alcuni momenti cruciali della diffusione dei romanzi stranieri in Italia. La fondamentale mediazione del francese, che da Walter Scott passa per il Naturalismo arrivando fino ai romanzi russi, perde d’importanza con il Novecento, quando si afferma la letteratura tedesca e si comincia a tradurre direttamente dal russo. L’approccio pragmatico di Vittorini e quello più filologico di Pavese, poi, fanno scoprire all’Italia i narratori americani, secondo Giovannetti spesso tradotti in modo «sin troppo assimilante». È un giudizio valido anche per le traduzioni di romanzi recenti? Qui la faccenda si complica. Si può notare qualche tratto più conservativo, ma parlare di «forma pedante e smorta» suona davvero ingeneroso (in particolare senza fornire esempi). Al contrario, è condivisibile l’appello a far nascere dalle traduzioni una narrativa italiana più coraggiosa.
Alessandro Terreni racconta due progetti editoriali molto interessanti e poco noti. Letture bilingui con testo a fronte per giovani di origine straniera (ma non solo). Le collane I mappamondi di Sinnos e Storiesconfinate di Carthusia propongono anche lingue senza grande tradizione letteraria in Italia (come il tagalog o il cingalese). Pur con le comprensibili difficoltà, sarebbe importante tenere vivo lo scambio socioculturale attraverso i testi per un’integrazione più profonda.
Per concludere, una breve rassegna di piccole e grandi trasformazioni, diverse dalla mano del traduttore, a cui si può sottoporre un testo: la traduzione automatica (Paolo Costa), che dà risultati ben poco incoraggianti quando si tratta di poesia (e qui viene in mente il recente Charter in delirio! a cura di Marzia Grillo, edito da Elliot); le riscritture, dai classici come il Decameron sino alle fanfiction che circolano su Internet (Giacomo Papi); gli adattamenti cinematografici da opere letterarie (Tina Porcelli).

Insomma, il mondo da tradurre si rivela vasto, complesso e sfaccettato. Oggi si parla molto (se non moltissimo) di traduzione. L’importante è non limitarsi al semplice supporto alla promozione di un’opera, ma essere coscienti del ruolo fondamentale di mediazione tra culture.